Sara Ceracchi BusWriter

Scrittura del tempo d'attesa

Mese: febbraio, 2021

Partirei dalla fine

Monologo breve

Io partirei dalla fine, da come mi sono sentita quando ci siamo salutati. Una gomitata, ci vediamo per autografarmi il libro, ti devo 9 euro, ok ok, tante care cose. Ho avvertito un senso di liberazione misto a malinconia, di quelle sensazioni che si dimenticano facilmente ma che intanto ti infastidiscono, o forse è altro: non è fastidio, è vuoto.

E’ stata una mattinata assolata, calda, noi ci siamo visti al cimitero. Lui mio cugino l’ha conosciuto, è stato anche amico suo, e al funerale non c’è stato, così è voluto venire a trovarlo.

Come al solito stava sbracciato, lui sta sempre sbracciato, pure a gennaio. L’ho visto prima di parcheggiare perché ha alzato la mano per salutarmi e poi era impossibile non vederlo: è diventato davvero grossissimo. Ha sempre il solito atteggiamento, sommario e sbrigativo, vedo bene quanto poco abbiamo in comune, ed è sempre stato così, per anni, senza che me ne rendessi conto. Ora è sposato lui, e ha l’aspetto di un signore di mezza età, e se non ci ho visto male inizia a mancargli qualche capello.

Ha avuto il covid dice, e sua moglie no.

Quanto ho odiato quella donna, e ora non m’importa nulla neanche di lei, gli chiedo anche come sta, sinceramente interessata. Odiavo vederlo distratto da quella, la trovavo così stupida, così brutta, trovavo così impossibile che la preferisse a me. Ma l’amore, si sa, è un mistero, si posa dove meno si penserebbe.

Hanno un cagnolino in fin di vita, dice affranto, ma io non me lo ricordo così amante degli animali. Però l’amore si sa, fa miracoli.

Ci siamo messi davanti la tomba e abbiamo parlato di quest’anno infernale, di malattie, di lavoro, e anche di Playstation. No, per quello non è mai cresciuto, la Playstation innanzitutto. Mi ricordo che quando ci vedevamo a casa sua, quando era andato a vivere da solo, invece che trovarlo nell’impazienza che arrivassi, lo trovato sempre a giocare con il joystick in mano. A quei tempi adoravo quell’infantilismo, perché adoravo tutto di lui.

Non avevamo nulla in comune, non abbiamo nulla in comune. Ci teneva insieme, ci ha tenuto insieme, ci riportava insieme soltanto la passione. Quel fatto di non poterci resistere, neanche mentre era innamorato di un’altra, neanche mentre io cercavo di farmi un’altra storia. Io lo pensavo comunque, e lui non smetteva di provarci, specialmente se mi allontanavo. 

Ora ce l’avevo lì vicino a parlare di brutture, al cimitero. La fioraia ci ha scambiato per fidanzati, ma fidanzati non siamo stati mai, non abbiamo mai avuto etichette. E certo, non ci sono mai servite, non a renderci felici: la felicità ce la siamo regalata sempre senza avvertire, senza programmare troppo al di fuori di un appuntamento vago, senza mai svelarci quel che pensavamo. Semplici, epidermici, e a me quello sembrava tutto. 

Quella volta che ho tamponato con la macchina, perché l’ho visto passare con la moto e con una sul sellino; quell’altra volta che mi sono persa per le campagne, di notte, per andare da lui…quell’altra ancora che…non so cosa non ho fatto per lui. 

Sono investimenti a fondo perduto, ma quando li fai non lo puoi sapere. Non ti rimane niente di concreto, anzi, sembra ti tolgano qualcosa, come la capacità di lasciarti andare, il coraggio di tentare. Invece no. Ti lasciano quello che serve a poter dire di aver vissuto, a poter dire di aver investito sempre le tue migliori energie in ciò per cui vale la pena: per i battiti accelerati, per le scosse, il calore, le speranze, l’attesa di stringersi, far pace dopo gli abbandoni, dopo le liti furiose. 

Ti lasciano preparata per altri amori, per altre passioni, per tutto quanto fa da barriera alle fredde tombe del cimitero.

Partirei dalla fine. Da quel suo gesto protettivo di spostarmi dal bordo della strada, quando di macchine non ne passavano; dai suoi passi che s’allontanavano pesanti, dalla sua sagoma che tanto ho amato e che ora non mi suscita più niente, se non teneri ricordi. Senza più ombra né memoria di alcun rancore. 

Io te giuro

Se te dico ‘na cosa è quella
Se te faccio ‘na promessa
me curo de mantenella.
Quando dico che t’amo
lo dico veramente
se prometto de nun smette,
credime
nun te pentirai de niente.


Potrei lascia’ perde forse
se tu sparissi
se fossi certa che mai tornassi
e la vita me gridasse “Esci!
A tutto st’amore faje fa’ du’ passi,
spennilo meglio, cresci!”.


Ma sennò me basta poco
un bacio de sfuggita
un letto frettoloso;
Pensa allora se fosse de più,
se m’allungassi sta mano e te tirassi su,
se malgrado il passato
te fidassi de sta promessa
non te la lascerei mai solo

io te giuro,
fino alla fine sarei sempre la stessa.

L’Amore mio novo

Me piaci appena sveglio

co’ l’occhi un po’ abbottati

e i capelli scombinati 

da tutti i sogni violentati.

Così, poco ideale,

diverso dal ritratto ufficiale

che guardi er soffitto 

col profilo perfetto 

un po’ riposato, un po’ devastato.

E io sfatta, che non ho dormito

perché tutta la notte t’ho guardato 

co’ un lumicino rimasto acceso

vorrei ‘na magia che d’un botto m’acconciasse

che se te giri pensi “vorrei che restasse”.

Ma a me piace st’amore mio novo

sbocciato a sorpresa

senza mettese in posa

quando più non ce credevo.

C’ha l’occhi abbottati e i sogni l’ha lasciati

lì dove li facevamo

nel mondo ideale che parla d’amore

come non esistesse il dolore

che te segue invece

e ogni volta te dice

non c’anna’, ché pure quest’artro t’uccide!

Eppure rieccome

ma ‘sta volta qua

co’ la coscienza

che non comincia niente

che è difficile aspettasse qualcosa,

scegliese sicuri in mezzo alla gente.

Perché basta ‘na parola 

a fa’ crolla’ tutto

o na mossa indovinata 

a mescolasse de brutto.

St’amore imperfetto 

è tutto quello che volevo

senza bucìe e senza previsioni

che non firma sotto le illusioni,

e non se scorda che semo umani.

E’ un amore novo

Dell’età matura

c’ha l’occhi abbottati,

non domanda quanto dura.

Non fa invidia a nessuno

è tutto spettinato, 

ma se t’abbraccia è perché lo vole 

e te lascia senza fiato.

Vivete p’adesso

Io non faccio mai le cose pe’ metteme a paragone

ma c’ho ‘na soddisfazione

quando le faccio sconvenienti

pe’ la comune opinione

che dentro a me stessa rido co’ cinquanta denti

Quando so’ felice co’ niente 

e voi correte appresso a li mijoni,

Quando volete prima l’anello

E io ‘nvece vivo solo de’ passioni,

spreco tutti i soldi per un giorno solo

E me guardo allo specchio

E dico cacchio

C’ho proprio ’n ber culo!

Questo serve a fa’ gira’ l’omini pe’ strada,

a famme senti’ la gioventù senza sta carcerata 

in tutte le vostre convenzioni

quando alla felicità je volete spiana’ la strada, prepara’ la casa,

ma nel frattempo quella è diventata n’artra cosa.

Se n’è annata, impaurita 

soffocata dai calcoli e dai muri,

dalla precedenza data all’artri pensieri.

No, a lei non è facile coreje appresso,

ma un modo pe’ fermalla, un attimo, ce sta:

semplicemente,

vivete p’adesso.

Figaro

“Accomodate bella!
Come la famo sta capoccella?”
Te domanda beffardo e millantatore
Quel Giuda del parrucchiere

Tu subito t’affanni a spiega’ quello che te conviene
“Non me li fa’ improbabili
Fammeli che me stanno bene!” –
“Ma come no, bella figlia,
Aspe’ che preparo la poltiglia!”

“Non me fa la testa a strisce
Che manco mi madre me riconosce”
I capelli non ponno esse de cento colori
Ma lui è fissato con ste mesce!
Così lo preghi, “stacce attento!”
E lui
“Teso’, vedrai che starai un incanto!”.

Impiastra e spazzola,
taglia e lava,
arriva il momento de vede’ che architettava.
E mai, mai te ritrovi come chiedevi,
pure lo specchio te parla
e dice “guarda
era meglio se manco te pettinavi”.

Ma lui ripone le forbici e sorride
Tronfio p’avette fatto la capoccia a tegame
E se per caso c’hai da ridi’
sei te che non capisci niente,
mica è lui l’infame.
Te chiede pure se sei contenta, er malandrino,
E t’accompagna alla cassa pe’ fatte er conticino.

Tu là tremante aspetti er verdetto:
quanto mai costerà ‘sto bello scherzetto?
Lui te spilla 100 euri, ma te regala er campioncino
Poi come pei capelli, senza chiede opinione
Batte cassa col ditino,
E solo dopo te domanda,
sornione:
“Te lo posso fa’ più piccolo ‘o scontrino?”

Ode al maschio meraviglioso

Questa qua è n’ode iniqua, 

un’ode da femmina superficiale

che del maschio guarda le meraviglie

e se ne lascia avviluppare.

Questo è ’n canto a doni avuti aggratis, 

senza ave’ meriti e senza tormento

dalla Natura 

o da Dio,

che quando se ce se mette
Devo ammette 

è proprio ‘n portento!

E’ ‘na fotografia

scattata al maschio meraviglioso,

quello che se ‘ncontra pe’ la via

che dici ecco, questo me lo sposo!

È er maschio che nun c’ha bisogno de niente,

che sta sempre a suo agio in mezzo alla gente. 

S’arrotola le maniche della camicia

e solo per quello te viene l’arsura 

che pe’ n’attimo dici 

Madonna mia,

sto a sogna’ o è ‘na cosa vera?

Er maschio meraviglioso è calmo, 

davvero,

se una cosa non la sa fa’ 

comunque ce prova

e je riesce sicuro. 

È quer maschio alto, ma no ingobbito,

Bello, asciutto, ma mica allampanato.

C’ha il torace largo che te c’accomodi in mezzo, 

e peloso il giusto, che je ce poi da’ ‘n mozzichetto.

Ché il maschio meraviglioso non se fa la ceretta, 

piuttosto se lava,

e de barba ne rade pochetta;

poi un profumo bono, senz’altre frociate

e unghie pulite, su mani forti e fatate.

Il maschio meraviglioso

t’abbraccia se fa freddo, 

se c’hai i tacchi va lento e te porta a braccetto;

te parla piano, de petto 

senza mai esse insistente,

ché tanto ottiene tutto pure senza chiede niente.

Je piace corre in mezzo al verde

così, al sole, che lo bacia forte,

diventa sempre più bello,

e le poche rughe che je vengono

mica lo peggiorano,

je fanno da orpello.

E senza sta l’ore a solleva’ zavorre,

a gonfiasse i muscoli co’ gl’inganni,

te piglia ’n braccio come niente fosse,

non importa quanto magni.

Perché a lui piace la donna con le curve sotto la gonna

che s’accomoda sulla sedia

e magna allegra, senza vergogna.

Er maschio meraviglioso 

con forza e grazia te stappa er vino

e non je se spezza er sughero,

non fa mai casino. 

Senza sgocciola’ versa a te er primo goccetto,

poi s’avvicina, 

t’abbraccia i fianchi

e prima de brinda’ te dà ‘n bacetto.