Diario di una settimana settimana senza internet

Se ci fate caso, da qualche anno tutto quanto sia connesso all’informatica e alla rete internet, dai dispositivi, alle immagini, alla pubblicità di essi, riporta alla Natura. Dispositivi sottili, bianchi, sempre più leggeri, che quasi non ci si accorge di portare con sé come fossero una mano in più; siti internet dall’aspetto arioso, con immagini verdeggianti, scritte sottili e facili da leggere, quasi quelli non fossero pixel ma post it lasciati per casa; pubblicità di smartphone e piani tariffari dove i protagonisti sono sempre come minimo in spiaggia, o a fare una scampagnata.

Ebbene, la verità è che, di fatto, quel che fanno internet e l’informatica è proprio separare le persone dalla Natura. Non serve negare che all’estremo delle loro potenzialità, queste due cose riescono a sostituire ogni elemento di umanità nelle persone. Escludendo le capacità pratiche, artistiche o scientifiche, mortificate da software che si sostituiscono al lavoro di chiunque e l’automatizzazione di quasi tutte le abilità umane grazie al computer, forse è Internet l’entità che ancora più profondamente rischia di disumanizzarci, irreversibilmente.

Comprare è Amazon. Vestirsi Zalando. Trombare Youporn, o al massimo cercare attenzioni su tristi siti per incontri, dove ci si sceglie qualcuno come su uno scaffale del supermercato. Le Notizie le fornisce Facebook, in maniera tale che ognuno possa scegliersi le fonti in base alla parte dalla quale vuole stare, scelta a priori. Per carità, succedeva anche quando si comprava un quotidiano piuttosto che un altro, ma su un giornale non si esprimono idee con cartelli da quattro parole.

Scherzare non è incontrarsi e raccontarsi puttanate, ma spedirsi “meme”, cazzo vuol dire meme? Parlare non è l’urgenza di vedersi, cascasse il mondo, dovessi perderci una nottata di sonno, guardarsi negli occhi e raccontarsi la vita, litigare, discutere, ridere. Parlare è whatsapp. La cultura è diventata informazione sovrabbondante e fugace, quella che non si legge sui libri, ma quella che una volta adoperata per necessità momentanea, ci sfugge di mente. Il cinema è Netflix, barricati dentro casa, non chiamarsi, non uscire, non prendersi per mano e andare al cinema e farsi una bella pomiciata mentre il proiettore gira.

Ora, io sono stata fortunata: la mia infanzia e adolescenza sono trascorse senza internet. Mi sono goduta la natura, il gioco, le scoperte e la crescita, passo passo; in giovinezza ho iniziato ad usufruire del “telefonino”, non lo smartphone, degli SMS, quelli che si aspettava trepidanti quando qualcuno ci faceva il filo, e poi al dunque non spiccicava una parola. Il mio primo internet andava a 56k e papà quando lo installò mi disse: adesso sei collegata a tutto il mondo. In realtà per iscriversi ad esami universitari e compilare moduli ci si metteva una vita, ma in quel momento era come quando comparse il telegrafo per la prima volta.

Adesso, la realtà internettiana in cui sono immersa, seppur veloce, mi va stretta, strettissima.

Così, benché con Internet io ci lavori, e mi offra delle possibilità, come a tutti (che però sono quelle di sempre, di tutta la storia umana, solo in una nuova forma), ho deciso di emanciparmene almeno per una settimana, per rassicurare me stessa su tutto ciò che penso e per dimostrare a me e a tutti che se ne può fare a meno.

Può darsi che dovrò ricredermi, non lo escludo.

In ogni caso, ho deciso di tenere un diario di questa mia settimana di vita “antica”, e capire da cosa parto e dove arrivo.

Doverosa premessa: non ho voluto fare questa esperienza per cercare attenzione da chicchessia. Per mia immensa fortuna so già chi mi presta attenzione e da chi posso; aspettarmi di essere cercata, con o senza internet.

Lunedì 30 Settembre

Mi sveglio e so che accendendo il telefono mi arriveranno dei messaggi whatsapp, perché la sera prima ho dimenticato di disattivare i dati. Infatti accendo, mi arrivano, li leggo, disattivo i dati: arrivederci a domenica prossima, forse.

Mi fa strano fare colazione senza spedire messaggi whatsapp a quelli che come me si svegliano alle 5 e mezza, con cui ci facciamo coraggio a vicenda tutte le mattine. La mia colazione però dura di più, il tempo si dilata: osservo Rossana, le dedico due minuti in più del solito. In fondo lei è la vera certezza quando dormo a Lariano e mi sveglio, il suo miagolio delicato di quando vuole qualcosa, le fusa deliziose e il calore della sua pelliccia.

Il viaggio verso il deposito è gradevole, poco traffico, gli speaker di radio DJ che scherzano, e ascoltano in diretta messaggi vocali di ascoltatori che, così, si sentono oratori per dieci secondi. Prima di iniziare il servizio spedisco degli sms ai familiari per avvertire di non preoccuparsi se non dò segni di vita perché sono senza internet, ne spedisco un altro a chi doveva partire per lavoro e mi metto a lavoro anch’io. Quell’unico SMS, “Grazie tesoro”, arrivato da solo e senza grancasse, senza immagini del profilo, senza foto, senza emoticon, mi emoziona e mi incoraggia a non credere a nessuna “necessità”. Non ce ne saranno, spero, anzi, ne sono sicura.

Finito il mio primo turno torno a casa e mi metto a lavorare al mio libro, e vado avanti spedita, senza interruzioni. A metà mattinata vado per scorrere col ditino il touch screen, per quel tic che ormai abbiamo tutti di scartabellare per noia le app che, ah già, senza rete non funzionano. Quando arriva il momento di tornare a lavoro mi viene in mente che dovrò aspettare tre quarti d’ora tra un servizio e l’altro: ho due libri importanti da leggere, me li porto tutti e due. Finalmente, in pausa, prima studio un po’ “L’arte della SEO”, che mi occorre per lavoro, poi mi addentro in questo romanzo, “Qualcuno con cui correre” di David Grossman: non ci ero ancora riuscita a sfondare le prime venti pagine, presa dai miei due lavori, dalla casa, dalla palestra, dalla mia vita da nomade. Invece il mio tempo libero così è libero davvero. Non devo rispondere a nessuno che sta lì a vedere se il suo messaggio ha il flag blu e perché io non rispondo ancora, e mi rendo conto che il 95% delle cose che ci diciamo, per questa nuova e immediata semplicità di dircele, non serve.

Mi scopro, inoltre, mille volte più socievole del solito.

Il romanzo cita, ad un certo punto, un cantante israeliano che non conosco e mi viene la curiosità, ora vado a sentirlo su Google. Ah già. E allora prima come facevo? Prima andavo alla Discoteca Laziale vicino piazza Vittorio o alle Messaggerie musicali, o da Musicamando a Velletri, e mi compravo i dischi di artisti che volevo conoscere o che avevo visto in tv. Decido che il mio prossimo autoregalo sarà un disco di questo Yehuda Polliker, e andrò a cercarlo in un negozio di dischi, non su Amazon.

Mentre leggo ogni tanto alzo lo sguardo e vedo che la mia collega, rimasta sul pullman, parla e parla al telefono, ma da due o tre cose che mi pare di intuire, capisco che sono argomenti passatempo, come quelli delle signore che fanno i gruppi per andare a fare trekking, discorsi allungati all’inverosimile, riassumibili in tre parole mentre a casa si scola la pasta. Invece accanto alla mia panchina sento delle canzoni di Massimo Ranieri, insieme a una vocina femminile che pure le canta, con tra le mani un vecchio giradischi o un telefono, chissà. Non ho visto bene per non mettermi maleducatamente ad osservare questa signora, che aveva l’aria di una senza tetto: una senzatetto però ripulita, a forma di sfera perfetta, con due o tre menti. Si vedeva, estremamente sola, sicuramente perché un po’ stravagante: si faceva compagnia cantando Massimo Ranieri su una panchina, incurante dei passanti che la stavano a sentire. Più in là, su un’altra panchina, un bellissimo mulatto, ma non altrettanto interessante: griffatissimo, sicuramente appena uscito da scuola, chino sul suo smartphone nero, talmente alienato da non accorgersi di una specie di simpatica strega del mare emersa che sta vicino a lui a cantare le canzoni di Massimo Ranieri. Poi, ora che ci penso, Erba di casa mia l’ho cantata stamane in macchina, mentre ascoltavo gli speaker, senza confondere le parole, no no. Durante il viaggio di ritorno faccio due telefonate, invito i miei zii a cena per domani: è bello sentirsi, tanto più che i miei zii non sono giovanissimi e whatsapp non l’hanno, per cui con loro non c’è scelta.

Ho passato due ore in palestra, dove su ogni attrezzo della sala pesi c’è sempre uno smartphone: non mi è cambiato nulla, perché non faccio mai sport con il telefono appresso, ma mi rendo conto che se io ci metto due ore tra allenamento e doccia, quelli col telefono restano ostaggi della struttura almeno per un’ora in più.

Sta finendo così questa mia prima giornata senza internet. Mio fratello mi invia un messaggio per avvertirmi che mia cognata ha il telefono rotto, che in caso ci potremmo solo telefonare. Tanto meglio, godetevela, rispondo. Noto che non mi sono sentita troppo stanca per mettermi a scrivere, non mi sono buttata sul divano a rispondere a messaggi e commenti. Sono qui a scrivere e non vedo l’ora che arrivi domani per ricominciare a leggere.

Martedì I ottobre

Mi sveglio e chiudendo la sveglia del telefono trovo un SMS si papà, di ieri sera “non sono abituato più agli SMS, buonanotte!”. Mamma l’avevo sentita per telefono. Ok, la volontà di sentirci si vede anche da questi sforzi, pure se con i miei non ho bisogno di conferme. Piuttosto, sono gli altri, di molti altri ho perso le tracce, quando normalmente con whatsapp sono lì a cronometrarmi i tempi di risposta.

Ogni tanto quel tic di prendere il telefono e sbloccare lo schermo, pur senza dover controllare nulla, e mi rendo conto che liberarsi di un vizio richiede un grande impegno. Ad un certo punto il telefono si spegne e non si riaccende più, per un’oretta. Beh, penso, avrà pensato, che ci sto a fare per quattro telefonate, vattene da mia nonna, la cabina…ah già, non ce ne sono più.

La mia giornata lavorativa procede normalmente, ma noto che sono più loquace, anche con la mia collega che sopporto poco. Leggo, in ogni piccola pausa. Il romanzo di Grossman mi sta prendendo molto. Tranne in pausa pranzo, lì continuo a studiare il manuale SEO, scambio qualche SMS necessario. Stavolta, mentre attendo, leggendo, l’orario del mio ultimo turno nella piazzetta di Pavona, noto un’altra persona seduta sulla panchina, una signora che, miracolo, ha tra le mani un libro e non un telefono. Quando me ne vado le passo accanto e ci sorridiamo, ognuna con suo libro tra le mani, come per un’intesa segreta.

Anche il caffè al bar mi piace di più. Mi metto ad ascoltare quello che si dicono il barista ed un cliente e mi verrebbe d’intervenire: mi è aumentata a dismisura la voglia di chiacchierare e sentire la mia voce, più del solito, dato che non sono propriamente una persona silenziosa.

Il pomeriggio passo in agenzia. Ho degli articoli in arretrato, su quelli vecchi ho fatto degli errori, non va bene. Ma a questo punto non voglio mollare, chiedo questa settimana di tempo per ripartire senz’altro molto più carica di prima.

La cena con gli zii è saltata. Papà mi aiuta a trasportare una staccionatina sul terrazzo: l’avevo verniciata due anni fa, a Lariano, e ancora non l’avevo portata a casa. Per strada mi chiede “come si sta senza internet”? E gli spiego tutto quello che penso, che è come quando non l’avevamo, io e mio fratello eravamo piccoli, stavamo sempre tutti e quattro insieme, avevamo la Fiat Uno blu e i Suv non sapevamo cosa fossero. Ci troviamo d’accordo, lui però sostiene di non fare tanto uso di internet, ma si ricrede subito quando gli enumero tutti i gesti quotidiani che lo rendono schiavo della rete: parliamo di ordine alfabetico. Quant’è che non fai una ricerca seguendo l’ordine alfabetico, facendo questa operazione mentale semplice eppure così tanto formativa? Quant’è che non sfogli un vocabolario, un’enciclopedia, un elenco del telefono? Eh ma le informazioni sono di più, adesso. Certo, sono di più, ma è la tua capacità di assorbirle che è compromessa, ed è così per tutti.

Colgo il meloncino nato sotto la bouganville, tanto non crescerebbe oltre.

Mi viene la tentazione di condividere la foto del frutto spaccato a metà: poi di rendo conto di quanto vale quel momento solo per me e papà, e che la foto di quel melone non cambierebbe niente nella vita di chi non l’ha visto crescere, non può sentirne il sapore, l’odore, osservarne quel verde tenue, quasi trasparente, alla luce del tramonto. Ha un gusto delicato, come di cetriolo, ma più gustoso. Potrebbe essere un barattiere in realtà, dice papà, ma non può essere, ma sì, i semi volano: un bel dibattito di botanica sul quarto piano di un palazzo di città.

La sera ho visto un film stupido, anzi, lo avevo già visto una volta, quindi la stupida sono io. Però, il film mi ha indotto a enumerare tutti i primi baci degli amori della mia vita. Mi sono messa lì a cercare di ricordare dove e come è stato con ognuno di loro: un po’ di panico per qualche vuoto di memoria e poi, a posto, me li sono ricordati tutti, in mezzo a qualche lacrima.

Mi rendo conto che sto trascrivendo un flusso mentale, ma credo sia perché sono felice di ciò che mi sto regalando, vorrei lo facessero tutti per sé stessi, ma proprio tutti, prima o poi, ed è per questo che sto tenendo traccia di quest’esperienza. Forse potrei creare una vera e propria iniziativa di gruppo, dove piano piano tutti provano e poi raccontano. Sicuramente il mio rapporto con il web cambierà, ovviamente nei limiti delle necessità lavorative: probabilmente in futuro attiverò i dati solo a determinate ore del giorno, non so. Farò qualcosa, che mi farà sentire un’utente e mi riporterà al centro del mio agire. Internet sarà solo uno strumento, mai più sarò io uno strumento di internet.

Mercoledì 2 Ottobre

Resoconto mattiniero. Eh già, la giornata sarà molto intensa, inoltre stasera avrò le prove con la mia compagnia teatrale e non potrò scrivere.

Stamani non erano neanche le 7 che l’azienda era già in fiamme. Probabilmente il comune gli toglierà l’appalto per il trasporto scolastico, a buona ragione, dal momento che da anni i dipendenti percepiscono stipendi a singhiozzo, i mezzi sono fatiscenti, i meccanici si sono tutti licenziati. Un vero disastro. La mia collega mi confessa di essere preoccupatissima, lei e il compagno lavorano entrambi qui, devono cambiare casa, devono chiedere un prestito e in queste condizioni precarie diventa tutto insormontabile. Si sposano a maggio, dice. Non lo sapevo! Forse perché prima non le parlavo. In due o tre giorni inizio già a conoscerla molto meglio e a spiegarmi anche perché, a volte, è così insopportabile.

Qualche SMS di incoraggiamento scambiato con le persone care: dentro di me, dico la verità, tanto ottimismo. Penso che la mia vita lavorativa potrà solo migliorare, che qualunque crack sarà solo un bene.

Non sento affatto la curiosità, né la necessità di accedere ad alcun social network, e questo mi riempie di soddisfazione e già di una certa malinconia, per quando lunedì tornerà tutto come sempre: tornerò al mio lavoro anche online, alla patina di lustrini che tutti ci siamo riversati addosso, trincerati dietro i nostri “profili”.

Più tardi andrò a comprare un quotidiano per vedere se è vero che la notizia delle condizioni della nostra azienda sta su tutti i giornali, come si vocifera soprattutto online, sembra. Accidenti, è tantissimo che non compro un giornale, se escludo l’Espresso, che mi faccio comprare da papà.

Giovedì 3 Ottobre

Sul giornale non c’eravamo affatto, ma c’erano molte altre notizie interessanti, e anche angoscianti, riguardo la finanziaria, le cui creste graveranno sul futuro di noi giovani, ovviamente. Ci sarebbe da studiare a fondo i meccanismi per cui questo accadrà, ma una cosa è certa: i video che sicuramente in questi giorni impazzano su FB, con Di Maio che annuncia che non ci sarà aumento dell’Iva, non sono informazione. Un lieve aumento dell’Iva ci risparmierebbe molte altre grane, ma propagandisticamente, starnazzare che l’Iva non aumenterà, funziona meglio.

Ieri è stato un pomeriggio senza soste, se non per quei quarti d’ora di pausa tra una corsa e l’altra. Mi sono trovata a scegliere vestiti da sposa da suggerire alla mia collega e a ragionare su cosa è o non è importante per il giorno delle nozze.

Vorrei sentire qualcuno in Regione Lazio riguardo l’azienda, e penso che mi farebbe comodo poter accedere al sito e mandare un’email. Per qualche secondo penso che, forse, internet consente una partecipazione diretta alla vita democratica che prima non…Ma quando mai. Nessuna email di protesta, nessun commento al vetriolo su facebook, niente di tutto questo ha mai portato soluzioni o evidenziato problemi da risolvere, portandoli ad essere risolti. La libertà di polemica viene scambiata col potere decisionale, che invece, per fortuna, prevede che si scali qualche gradino per contare qualcosa. O che si faccia di più che scrivere un’email. Benissimo, farò di più.

Ogni tanto, in questi giorni senza internet, mi segno sull’applicazione blocco note tutte le domande a cui voglio dare una risposta, o idee per ciò che devo scrivere. Ieri ho provato a ricordarmi l’alfabeto greco ma dal lamda in poi mi confondevo. Non andrò a ripassarlo su Internet, aprirò le pagine del vecchio caro vocabolario Rocci, e so che troverò delle sorprese: disegnini e foglietti di quando ero una liceale.

Già, l’app blocco note. Gloria, la mia amica che vive in Scozia, mi ha regalato un bellissimo taccuino poco tempo fa, raccomandandomi di usarlo: “non aspettare di avere qualcosa di importante da scriverci altrimenti non lo userai mai!”. Beh, l’ho trovata qualcosa: tutto quello che d’interessante mi viene in mente. Non più telefono ma da oggi in poi quaderno e penna sempre in borsa.

Ieri sera ho avuto una bella telefonata con il mio amico e collega Antonio, sostituita alla possibilità di una triste email, e abbiamo parlato di idee, di occasioni, di slanci. Anche a tavola io e i miei abbiamo parlato tanto, mentre il tg passava la notizia del lanciato allarme, forse di una sociologa, della pericolosità dei nostri dati in mano ai capitalisti del web, così quella mia idea di diffondere la mia iniziativa si fa ancora più concreta.

Le prove sono andate bene, senza il telefono a disturbare mi sono concentrata, ho dato suggerimenti sul copione e sui probabili costumi.

Ma quante cose succedono con un giorno? Le persone che ti amano e ti sono accanto vogliono saperle tutte, nel dettaglio, non si accontentano di una foto spedita da whatsapp, o da un post su Facebook. Nonostante questa verità, milioni di persone pubblicano ed inviano frasi o immagini di se stessi credendo così di generare legami o interesse per sé stessi.

Giovedì 3 ottobre

Oggi ho dovuto collegarmi dall’agenzia di web marketing, ero obbligata. Dovevo preparare un report per un cliente di social media management. Non ho acceduto a nessun profilo personale ma solo ad un’ applicazione che genera i report e alla email aziendale, quindi, seppure per questa parentesi non perfettamente scevra da internet, considero la mia missione settimanale ancora sulla buona strada. Anche non essere stata integralista, per dovere, mi sembra sia stata una buona cosa.

Il mio amico e collega Giordano mi ha fatto vedere un post di Facebook pubblicato da una nostra conoscenza comune. In quel frangente ne abbiamo parlato e spettegolato, soprattutto della personalità del personaggio, tutto lustrini e copertina. Poi, più tardi mi sono resa conto dell’immensa violenza sottesa a questa nuova comune abitudine di porre le cose della propria vita in una vetrina, sottoponendole al giudizio altrui. Violenza per chi non riesce a non riempire una bacheca, violenza di chi, in base a quei contenuti, giudica tutto l’essere di una persona.

E’ stata una giornata intensissima, faticosa. Stasera, visita a sorpresa: i miei sono venuti a portarmi lo spray per la mia sinusite, benché avessi assicurato che prendermelo sabato sarebbe stato lo stesso: non era lo stesso, chi ti ama te lo dimostra così.

Venerdì 4 Ottobre

Questa settimana incredibile è agli sgoccioli e ne sento già la mancanza. Non mi è mancato niente in questi giorni, al contrario, ho avuto tanto, ho riavuto ciò che la tecnologia sta togliendo a tutti noi.

In Tv, in questi giorni, ho visto che passa uno spot di uno di quegli assistenti domestici con cui si può parlare dentro casa, e mi mette rabbia, tanta rabbia. C’è una ragazza che si sveglia e chiede a questa Alessia o Alicia che ore sono, che tempo fa fuori, annaspa su uno scaffale della cucina alla ricerca di una tazza per il caffè: così, si capisce che la ragazza è cieca, per dimostrare la fondamentale utilità dell’aggeggio che le dice che tempo fa, infatti fino a ieri i ciechi non hanno mai percepito la pioggia uscendo senza ombrello. Speculare su tutto, pur di vendere, questo lo vedrebbe anche un cieco.

Oggi mentre leggevo “Qualcuno con cui correre”, ambientato a Gerusalemme, ho scoperto l’esistenza di due luoghi della movida della città, sui quali mi andrò a informare, e che probabilmente inserirò nella mia lista di viaggi da fare. Ho compreso che su Google cerchiamo solo ciò che in fondo conosciamo già, e possibilità di scoprire cose che neanche pensavamo esistessero non ci sono. Le scoperte le facciamo leggendo e vivendo con i cinque sensi tutti all’erta. Ecco, i cinque sensi, pensavo, quali sono? Non me li ricordavo, una settimana fa avrei cercato su Google. Poi ho pensato al sesso, al fatto che il sesso migliore mette in all’erta tutti e cinque i sensi, come la scoperta di cose nuove: allora mi sono concentrata sul mio corpo e li ho enumerati, vista, gusto, tatto certo…poi? Olfatto e udito. La memoria, la memoria delle nostre conoscenze deve risiedere nel nostro cervello, che dev’essere indipendente da qualsiasi motore di ricerca.

Oggi pomeriggio ho avvertito un fastidio che avevo sempre represso. Quello per i messaggi vocali. Nello spogliatoio della palestra non c’era una sola donna che non si spogliasse o vestisse senza telefono in mano, sbilanciata per sfilarsi le mutande, a testa bassa ad asciugarsi i capelli mentre scorreva il touch screen. E quei suoni di registrazione e invio, registrazione e invio, botta e risposta, e quella domanda per la testa “ma perché le persone non si telefonano?”. Piacere recondito di parlare senza essere interrotti? Mettere alla prova le proprie brillanti doti oratorie? Perché centomila messaggi vocali invece di una telefonata?

Domani vedrò due clienti di social media management. Internet mi bracca, ma non mi prenderà davvero fino a lunedì, e dopo lunedì non avrà più nulla o quasi della mia umana verità, semmai ne ha avuta una.

Sabato 5 Ottobre

Giornata incredibile. Nessuna, peraltro, mi è sembrata ordinaria da lunedì scorso. Non è retorica, anche se capisco che è difficile da credere per chi non faccia la mia esperienza, ma davvero, senza internet le giornate si dilatano e si riempiono di cose a cui non si era più fatto caso o non ci si era messi più a cercare di ricordare. Qualsiasi tipo di cosa. Stamane ho lavorato al mio libro, poi, il resto del giorno l’ho trascorso a Roma con Antonio a parlare con dei clienti. Il lavoro lieviterà, accidenti, e non so se riuscirò a tenere dietro a tutto.

Per strada io e Antonio abbiamo parlato di intelligenza artificiale, di quanto internet influenzi, pesi o non pesi sulle nostre vite. Lui è meno catastrofista di me e ritiene di non esserne schiavo, ma la schiavitù la vedi solo quando ti liberi. Ma d’altronde, internet per noi è lavoro, almeno per adesso. Già da domani dovrò collegarmi a degli strumenti di lavoro, e mi sento come una gallinella che deve rientrare nel pollaio dopo essere stata a ruspare beata all’aperto. Gli dico che io sarei voluta nascere negli anni ’40, dopo la guerra, e godermi boom e vita senza attivare a questi tempi bui, dove ci siamo messi tutti a contribuire al sogno di Steve Jobs dimenticandoci dei nostri. Passiamo per la Tuscolana, e vicino ad un semaforo c’è una vecchia bottega di restauro mobili. Dentro, tre signori, non giovanissimi, si sono allestiti un tavolinetto con vino e bicchieri, e giocano a carte. La trovo un’immagine rosselliniana, Antonio purtroppo è al telefono e non la vede.

Stasera sto vedendo “La Ferrovia” di Pietro Germi, mi incantano i suoi film. Non mi ricordo come si colloca, scientificamente, nella Storia del nostro cinema, dovrò andarlo a vedere in rete. Poi mi guardo intorno e mi ricordo che qui a casa mia mi sono portata il mitico Rondolino, la Storia del Cinema che ho studiato all’università. Mi precipito ad agguantarlo, inizio a sfogliarlo avidamente, trovando i miei appuntini a matita, un foglietto con vari appunti comici e pure una brutta copia per un biglietto di compleanno. Chissà per chi era, non me lo ricordo proprio. In mezzo una pagina de Il Messaggero, liscia, ben piegata, sulla notizia della morte di Leni Riefenshtal. Qui ho anche i dvd di due suoi film importanti, che voglio rivedere.

Domani sarà un giorno particolare per la mia vita, ma non ne voglio scrivere. So solo che Dio sa quanto mi mancheranno questi giorni.

Domenica 6 Ottobre

Forse riuscirò a non riattivare i dati sullo smartphone fino a domani, ma so che da pc dovrò accedere, forse anche a FB, per il mio lavoro da copywriter e social media manager che incalza. Appena sarò a casa dei miei, che hanno il wi-fi. A casa mia l’ho avuto per un po’, poi per la mia tendenza ad usare internet al minimo, ho ritenuto sufficiente connettermi, all’occorrenza, al telefono con il pc.

Stanotte ho sognato di scoprire un giardinetto qui a casa mia, di cui ignoravo l’esistenza per non aver mai spostato lo sguardo dal solito orizzonte. Iniziavo subito a dissodare il terreno e a togliere le piante secche, e a fantasticare su quante cose ci avrei piantato, con tutto quello spazio, con consiglio di mamma. Non so bene perché, ma anche questo sogno è collegato alla libertà di questi giorni.

Insomma, questa piccola crociata è stata fatta. La ripeterò, nonostante qualcosa l’abbia resa un po’ triste e inopportuna, come le decorazioni natalizie il 7 Gennaio. Durante quella mia settimana di libertà ed amplificata voglia di interagire con gli altri, che già in me è ordinariamente presente e fortissima, è mancata infatti la risposta del resto del mondo. Le persone sembrano preferire davvero una conversazione scritta o discorsi registrati e segmentati al dialogo; preferiscono non muoversi da casa, non approfittare di quel che può succedere per fare qualcosa senza l’aiuto di internet; preferiscono curare ciò che vogliono sembrare sui social piuttosto che essere ciò che sono, e magari migliorare, con le persone che hanno intorno. Quello che si nota al di fuori da internet è non solo la solitudine, ma l’attaccamento alla solitudine, il non volerne uscire: per cui questa storia non ha nessun lieto fine.