Sara Ceracchi BusWriter

Scrittura del tempo d'attesa

Mese: febbraio, 2014

La bilancia della Passione

Ogni giorno è un esame, e io mi sento sempre come all’università. Con la differenza che una volta laureata è raro che ti si conferiscano dei 30 e lode, neanche se ti impegni al massimo. Poi, come all’università, c’è chi senza aver aperto libro va meglio di te, perché all’esame gli chiedono proprio quelle quattro stronzate che sapeva, le uniche.
C’è chi ti invidia i risultati poi, come se a te fossero piovuti in testa, e chi si lamenta, sempre, per tutto quello che non riesce ad ottenere.
È così la vita, l’ambiente umano: una bilancia tarata male.
Eppure siamo sempre tutti lì a cercare ostinatamente di farci tornare i conti, attaccati a logiche che sono vere solo nei libri universitari, « io ho fatto A per farmi uscire B, e adesso questo KO da dov’è che salta fuori?!».
Poveri noi, poveri studentelli universitari.
Mentre scrivo mi giunge la notizia della morte di Emanuele, un bambino di neanche dieci anni, cerebroleso, che portavo a scuola fino a qualche tempo fa. Sua madre viveva per lui, convinta e fiduciosa che la scuola potesse giovare al suo sviluppo. Ricordo che per me era uno strazio vederlo e sentirlo piangere anche solo per quei cinque minuti da casa a scuola, mentre per la madre era così ventiquattro ore al giorno.

E però noi siamo sempre lì col bilancino, a cercare di capire come mai i pesi non quadrano, come se la felicità fosse vivere in un ideale, astratto mondo simmetrico, dove dare e avere si rapportano armonicamente, e dove le nostre convinzioni s’amalgamano col futuro, che invece cammina per fatti suoi.
Dov’è il nostro potere allora? Cos’è che davvero fa la differenza in un esame? Sapere quelle due cose sottolineate, o averle sentite vibrare dentro la propria conoscenza? Sorvolare su ciò che si incontra (tanto è lo stesso, alla fine si muore tutti), o assimilarne tutto ciò che di esso si brama?
È la passione il segreto, il piatto della bilancia che non si capisce com’è messo: accorgersi di vivere, o di esserne stanchi, urlare la propria gioia, il proprio amore, la propria fede o la propria disperazione con tutti i mezzi possibili, senza la smania di conoscere il perché di ogni reazione alle azioni.
Emanuele piangeva disperato, con la passione di chi non sa che fare in un mondo fatto per gente scaltra: e sembrava molto più vivo di chi è ancora lì a cercare con fiducia cieca di equilibrare i pesi della propria logica.

Oh me, oh vita!…

Oh me, oh vita!
Domande come queste mi perseguitano,
infiniti cortei d’infedeli,
città gremite di stolti,
che vi è di nuovo in tutto questo,
oh me, oh vita!

Risposta

Che tu sei qui,
che la vita esiste
e l’identità.
Che il potente spettacolo continua,
e che tu puoi contribuire con un verso.

Inauguro questa mia cyber avventura letteraria con questi versi di Withman, autore che ho conosciuto, e solo minimamente, grazie a “L’Attimo Fuggente” di Peter Weir, dove veniva spesso citato dal professor Keating.

Scelgo proprio questi per la loro sonorità. Sia nella versione originale che nella traduzione, essi vibrano talmente tanto da amplificare il proprio significato oltre i loro confini poetici.

Ecco io credo che innanzitutto la letteratura, e qualsiasi forma d’arte davvero sentita, debba saper far vibrare qualcosa nel profondo di chi se ne bea, come in un amplesso, utilizzando qualunque strumento creativo a disposizione. Che sia comica, romantica, rabbiosa, una pagina scritta con cura deve segnare una differenza nell’anima del lettore, nel quale qualcosa deve cambiare tra prima e dopo averla letta..

Buona lettura.